Basta con questa noiosa satira politica
Il nuovo corso di Radio Rai sembra orientato a parlare di società, e a privilegiare il flusso in diretta, al posto della scrittura di programmi come 610 di Lillo e Greg o di MammaNonMamma. E’ solo una modernizzazione del linguaggio? Il copione, la preparazione anticipata dei testi, con quel tanto di riflessione che comporta, la costruzione di scalette e strutture, il bilanciamento di temi e situazioni sono oramai fuori moda? E’ semplicemente una questione economica (scrivere un copione giornaliero costa più che affidarsi al rullo della musica + cazzeggio + telefonate in diretta che domina l’attuale palinsesto di quasi tutte le radio, non solo quelle pubbliche)?
In effetti parlare di censura non è appropriato: ogni rete stabilisce la sua linea editoriale. Ma qui in discussione non è tanto questo, quanto la scelta del linguaggio. Il linguaggio, ce lo insegna George Lakoff con la sua analisi del fenomeno Trump, inquadra i discorsi, quindi determina in generale sia di “cosa” si parla, sia come si parla di quel “cosa”. Prima ancora di discutere dei ragionamenti che si fanno, infatti, o su coloro che li fanno (cosa su cui interviene storicamente la censura), si decide di cambiare il modo in cui gli stessi soggetti parlano. Togliendo loro le caratteristiche che determinano la loro “voce”, come sottolinea Francesca Fornario.
Io non la chiamerei censura, ma opera di adeguamento del linguaggio allo spirito del tempo. E quindi, proprio perché il linguaggio della radio viene uniformato al rullo di twitter e di facebook, all’instant comment, alla non riflessione, si opera un lavoro più sottile di adesione allo spirito del tempo, prima ancora che a un governo, a una parte politica. Un lavoro che non è più di spin, ma di reframing. La modernità è un flusso, veloce, spensierato, dove non c’è il tempo di una riflessione. Ciò che conta è scivolare, leggeri, non montare, non costruire parallelismi. Come in un eterno social, dove la serendipity (che poi è la faccia buona dell’algoritmo), e non una voce autoriale, determina contenuti e accostamenti.
Non è censura, si affrettano a dire alla Rai, e hanno ragione. Non serve, è fuori moda, la censura. E’ il linguaggio che cambia. Il contenuto segue. E il contenuto richiesto è, in seguito, esplicito, proprio per adattarsi meglio alla forma: meno politica, che sui social è sempre così noiosa, fa sempre così estremismo, richiede preparazione. E più società, più antropologia, più costume.
Ed è giusto. Perché Renzi non è un politico. E’ un personaggio di costume. Uno che invia sms a tutti, che fa l’amico di tutti, ma che, forse, in ultima analisi si sente solo. Per quello ha bisogno di una radio che lo accompagni, una colonna sonora moderna, che lo faccia sentire sempre sul pezzo, sempre colloquiale, in cui intervenire con telefonate a sorpresa. Non è più pop, è social, il passo oltre. E’ 2.0, dimenticandosi cos’era l’1.0.
E’ così, steso su un letto di messaggini, che ci piace immaginarlo nei suoi momenti di riflessione. Con tanti reply da altrove che gli dicono cosa fare, cosa pensare.